di Lidia Arduino
Sono proprio una irriducibile ottimista se riesco ad immaginare che questa pandemia mondiale possa portare alcunché di buono!
Ma spesso è proprio dalle esperienze dolorose che nasce qualcosa che segna profondamente e modifica il proprio modo di pensare e di vivere. Lo è stato nella mia esperienza personale e potrebbe esserlo per questo disastro collettivo o almeno per il futuro di questa città.
Stiamo uscendo dall’emergenza e molti osservano che può essere l’occasione buona per rivedere quella “normalità” alla quale vorremmo ritornare, ma dentro la quale c’erano probabilmente anche le concause di questa pandemia. Penso all’inquinamento e alle polveri sottili che rendono più vulnerabile l’organismo umano e forse costituiscono dei vettori per la diffusione del virus. E il discorso si potrebbe estendere ad altri ambiti: economico, sociale, sanitario , politico e così via.
Ebbene il rallentamento della vita sociale e lavorativa e quello stare in casa come prescrizione medica alla diffusione dell’epidemia mi hanno permesso di compiere riflessioni e approfondimenti sulla vita nelle grandi concentrazioni urbane, le preferite per la diffusione del virus.
Si sono in questo periodo sviluppati molti dibattiti sui tempi e sugli spazi della vita nelle grandi città, come quello condotto da Stefano Boeri, che ho avuto il piacere di seguire in un quotidiano dialogo aperto sui social, il quale ha invitato a pensare ad una città diversa, più verde, una città dei quartieri, divisa in piccoli “borghi urbani” che permettono agli abitanti di raggiungere tutti i servizi essenziali in 15 minuti a piedi. Questo modello è ben diverso da quello delle periferie urbane americane a bassa densità, fatta di infinite villette che non fanno che consumare suolo e rendere indispensabile l’uso della macchina per raggiungere i centri commerciali. Nel piccolo borgo possono essere rivalutati anche i negozi di vicinato e diventano vitali gli spazi aperti, come le piazze e i giardini che, anche in momenti di distanziamento sociale, consentono di vivere all’aperto.
Ho pensato che, in fondo, la nostra città di Cusano Milanino possiede già questi requisiti: si potrebbe infatti definire un piccolo borgo di circa 3 chilometri quadrati, percorribili a piedi, con un centro commerciale alberato fatto di negozi di prossimità, distribuiti su un unico asse e con diverse ramificazioni (Viale Matteotti) che incrocia ortogonalmente un altro importante asse commerciale che ha ora un aspetto disordinato e in cerca di identità (Via Sormani). I servizi essenziali: civici, religiosi, sanitari sono a portata di mano, così anche i luoghi della cultura, dalla Torre dell’Acquedotto, alla Biblioteca, fino al Palazzo Omodei , una volta che sarà restituito completamente ai cittadini, non solo per sporadici percorsi. Anche il verde non manca: il verde privato dei giardini del Milanino si integra e si fonde con il verde pubblico dei viali alberati e con quello dei parchi urbani, dal parco Matteotti fino al nuovo parco di via Ippocastani. Certo vanno meglio organizzati i trasporti pubblici e i collegamenti con la grande città: la ferrovia, i collegamenti con le metropolitane , la metrotranvia che sembra prossima a decollare e chissà in futuro anche una fermata di metro’. Vanno completate le piste ciclabili, affinché possano diventare una valida alternativa all’uso dell’auto, immaginando percorsi che si collegano con quelli di altri comuni fino a raggiungere nodi strategici, noleggio di biciclette con pedalata assistita e ed altro ancora
Le idee non mancano: molte sono racchiuse in quel corposo programma elettorale che il centrosinistra aveva formulato circa un anno fa, sembra passato un secolo! Qualcosa di buono c’era: come l’idea di riorganizzare la mobilità partendo dai percorsi pedonali, per tentare di abolire le barriere architettoniche che ancora li ostacolano, come quella di sperimentare con forza ed insistenza la pedonalizzazione temporanea e localizzata del viale Matteotti , utilizzando lo strumento della sperimentazione temporanea.
Questi approcci erano stati duramente contestati dai cittadini, ma si può sempre cambiare idea. E se ora dovessero rivelarsi una chance per i commercianti duramente provati dal blocco forzato delle loro attività? E se ora diventassero una possibilità per loro di invadere il marciapiede concedendosi più spazio, senza costi aggiuntivi, consentendo a sua volta ai pedoni di invadere la sede stradale?
Per farlo non ci vogliono grandi investimenti, ma strisce colorate sulla pavimentazione, ne era previsto il rifacimento, e fioriere come quelle utilizzate a Milano per trasformare strade e marciapiedi in piccole piazzette colorate o magari si potrebbe utilizzare una semplice moquette di feltro, di quelle che si usano nelle festività e che sono servite in passato a trasformare la piazza Allende in uno spazio giochi o il Cantiere di Palazzo Omodei in un elegante percorso museale.
E se ci riuscisse il virus a farci ripensare all’uso degli spazi pubblici?